giovedì 28 aprile 2011

Adotta un alveare - bollettino del 27 aprile 2011

Buongiorno.
Dice Elisabetta:”…poveri fuchi, però…”
Vero, anche se, a dirla tutta, quando vengono asportati dall’alveari sono larve.
Tuttavia l’atto cruento c’è.
E’ una lunga storia, questa della varroa: non è sempre esistita, perché le api italiane, fino ad un certo punto, cioè fino agli anni 60 del secolo scorso, non la conoscevano, essendo naturalmente protette, dalle Alpi e dai mari, dal naturale sconfinamento di api estere di altre razze, con altre esigenze e situazioni fisiologiche. Ma ad un certo punto, certo per aumentare la produttività o per far incroci genetici, passione umana che forse risente del complesso di inferiorità rispetto alle divinità creatrici, sono state importate api caucasiche, infestate di acari che, per altro, nel corso dei secoli, avevano metabolizzato al punto da non risentirne più di tanto.
Ma le nostre, piccole ingenue, si sono trovate impreparate a tanta aggressività, e hanno accusato il colpo: in pochi anni è stato un disastro, e la creatività dell’uomo si è scatenata per riuscire a porre rimedio a un disastro che l’uomo stesso aveva provocato. Ma questo è un copione comune ad un sacco di situazioni, e non dico altro.
Naturalmente la chimica ha tentato di farla da padrone, ma, per fortuna, l’ambito apistico, in qualche modo, conserva un certo rigore; così si sono inventati e sperimentati decine di metodi, definiti in svariati modi: bio-meccanico, biologico, organico, etc., che fossero il meno possibile dannosi per le api ma anche, e negli ultimi tempi soprattutto, per l’uomo.
Il punto, però, è che, parallelamente alla varroa, e al relativo indebolimento delle api, si sono, nel frattempo, inseriti altri fattori, ad esempio la diffusione di una serie di virus (stranamente tanti, al punto che c’è chi ipotizza che siano le varianti di ceppi base), nessuno, per fortuna, che possa minacciare direttamente l’uomo, l’uso in agricoltura di diserbanti sempre più selettivi e raffinati (se si vuole usare questo termine per prodotti chimici), e sempre più differenziati, anche, per ovviare al fenomeno delle resistenze; inoltre la sempre più diffusa selezione delle regine, la perdita delle razze pure ed il fatto che la cera degli alveari ha la particolarità di conservare le sostanze con cui viene a contatto.
Quest’ultimo fattore rende, di fatto, gli alveari saturi di sostanze che possono essere nella cera da anni, da molti anni, e che ad un certo punto raggiungono, come del resto fa l’ambiente in cui viviamo noi umani, un punto di saturazione oltre il quale si innescano meccanismi che sfuggono, per dir così, al controllo.
Magari una prossima volta vi parlerò di cosa si può fare, e di cosa si fa, per attenuare questa situazione sfavorevole: oggi finisco sulla varroa.
Alla luce di quanto detto, l’introdurre nell’alveare altre sostanze di sintesi per combattere un acaro che in realtà approfitta di una situazione di debolezza dell’ospite non mi sembra una grande pensata: sarebbe come prendere farmaci invece di lavorare sul sistema immunitario…
Così la riduzione meccanica del numero degli acari, assieme al mantenere la forza della famiglia il più possibile costante ed il sottoporre la famiglia stessa, in particolari momenti, ad una o più “pulizie” stagionali, sembra, al momento, essere una possibilità da percorrere.
La riduzione meccanica si può attuare in diversi modi, e i telaini che ho descritto la volta scorsa sono uno dei tanti; anche le stagionali pulizie si possono fare con svariati strumenti, e di questo parleremo.



E le nostre piccole, pugnaci sicule?
Ho iniziato a pareggiare, cioè, in gergo, a indebolire le famiglie più forti per rafforzare le più deboli, ma senza, per ora, fare grandi cose: il clima non ha portato ancora il calore necessario a far “partire” bene le famiglie, che in queste giornate cincischiano dentro e fuori, svolazzano, costruiscono ma senza fretta…insomma, aspettano. E così anche noi facciamo, in attesa che maggio porti, come ci suggerisce il calendario biodinamico, dopo la prima decade, finalmente il calore necessario.
E speriamo che da noi la robinia aspetti ancora un po’: a Milano sta fiorendo, ad Acqui già lo ha fatto, come naturalmente, in riviera, ma mi si dice che in valle stiano spuntando i primi fiorellini…
Buona giornata a tutti.

sabato 23 aprile 2011

Adotta un alveare - Bollettino del 23 aprile

Buongiorno a tutti.
Oggi, sabato, piove: era stato previsto, sicchè ho preferito dare un’occhiata alle nostre ieri, profittando di un primo pomeriggio senza vento.
Buone notizie: le nuove regine sono state adottate.
L’alveare orfano ha una nuova mamma, ed il nuovo nucleo ha imboccato felicemente la strada della crescita rapida…
Per chi non lo sapesse una regina, in stagione, cioè diciamo dalla prima settimana di maggio fino a tutto giugno, col beneficio della variabilità più estrema, dato che si parla di api, depone fino a duemila uova al giorno; tuttavia, una volta deposto l’uovo, non se ne cura più –e come potrebbe?
Saranno le operaie ad occuparsene, ma solo in una fase della loro vita: vita che, nella stagione produttiva, dura poco più di un mese, mentre per le api nate in autunno può prolungarsi fino a cinque mesi.
La piccola apina che nasce è pelosetta, biancastra, malferma come tutti i cuccioli, e per una ventina di giorni non uscirà dall’alveare, occupandosi delle pulizie per i primi tre giorni, coprendo il ruolo di nutrice dal quarto al decimo giorno, divenendo ceraiola (essendo in grado di produrre cera, costruisce celle e ripara quel che necessita di manutenzione) fino al sedicesimo giorno; infine si dedicherà al ricevimento di nettare e polline e si occuperà della difesa dell’alveare: sono dunque queste giovanotte che, nelle famiglie sicule, mi ricordano il loro attaccamento alla famiglia con energia a volte eccessiva...
Poi, finalmente, esce nel mondo, e si dedicherà per il resto della sua vita a raccogliere cibo per la famiglia. Naturalmente la realtà non è così schematica: in caso di necessità questi tempi vengono dilatati o accorciati, e api che stanno svolgendo uno specifico lavoro possono occuparsi di altro, alla bisogna.
Ma torniamo a noi: la famiglia numero cinque, dunque, è di nuovo integra, e vedremo la nuova regina cosa mostrerà di sé.
La regina del nucleo, invece, ha già dimostrato: in pochi giorni non solo si è fatta accettare, ma si è messa immediatamente all’opera e ha coperto un favo di covata; la piccola famiglia, impegnata com’è, è tranquilla e laboriosa (evidentemente vi sono ben poche guerriere…) e, nel momento dell’apertura dell’alveare, momento rivelatore di quel che sarà nei prossimi minuti e dello stato dell’alveare in generale, mormora neanche troppo infastidita e accetta di buon grado la visita.
Non la stessa cosa possiamo dire, tuttavia, degli alveari due, tre e quattro: sono i più deboli e perciò anche i più nervosi, e reattivi. Alla visita si evidenziano alcune cose, che ora, a distanza di giorni e di un paio di incontri ravvicinati, sono evidenti: innanzi tutto la deposizione non è omogenea, e questo denota che la regina o è in età, ma non credo, dovrebbe essere dell’anno scorso, o non è delle migliori: anche fra le regine, come fra tutti gli esseri viventi, vi sono elementi particolarmente dotati nelle loro competenze ed altri meno.
Inoltre il nervosismo: come dicevo prima, se in una famiglia c’è grande attività, la reattività è sempre relativa; infine la confusione nell’organizzazione interna, fra favi di covata, scorte di nettare e polline, copertura omogenea dei favi.
Addirittura in un paio di alveari pareva al primo momento che mancasse la regina: infatti la famiglia orfana si comporta in modo isterico; invece la graziosa c’è, si è fatta trovare, pur nella confusione rumorosa che le altre mettevano in scena, ed è pure bella grossa e panciuta.
Del resto, forse, ed è quello che mi concedo di sperare ancora per qualche giorno, semplicemente non hanno ancora trovato l’ispirazione o l’accordo con il gruppo: non dobbiamo dimenticare che queste regine non sono nate nella famiglia che le ospita, ma vi sono state trasferite al momento della formazione del nucleo.
Inoltre, dal punto di vista del tempo meteorologico, se da un lato è vero che in alcuni momenti della giornata fa caldo, è pur vero, dall’altro, che ancora non ci sono stati momenti di “calore”: infatti anche l’orto, nelle nostre vallate, non è ancora nel momento della crescita; le api non fanno eccezione, a questo comune sentire della natura.
Così aspetterò ancora qualche giorno, prima di decidere se rinforzare i deboli sottraendo telaini di covata ai più forti, o se, più drasticamente, riunire in una famiglia unica due deboli, nel momento in cui le regine abbiano dimostrato la loro scarsa propensione al ruolo. 
Avere alveari deboli è fondamentalmente sbagliato: un alveare debole è molto più soggetto a malattie ed alla diffusione dei molti virus che insidiano le nostre di quanto lo sia una famiglia forte, e, del resto, due alveari deboli producono meno di uno forte, ed anche questo non è un fattore da sottovalutare.
Se dovesse interessarvi, vi potrei raccontare come si riuniscono due famiglie, e dell’atto spietato che bisogna compiere. Magari fatemelo sapere.
Un’altra cosa, che riguarda la conduzione dei vostri-nostri alveari: ho introdotto nelle casette i cosiddetti telaini-trappola, altrimenti definiti telaini-Campero, dal nome di chi ha avuto l’idea e li ha sperimentati e condivisi.
Si tratta di uno dei numerosi modi per fronteggiare la varroa, acaro fetente e che fa benissimo il proprio mestiere, dall’aspetto davvero poco poetico, visto ingrandito, ma letale: la bestia si sistema sul corpo dell’ape e, da buon parassita, succhia; in alveari si possono vederne a occhio nudo anche quattro o cinque su di un’unica ape, ed è impressionante la velocità con cui balzano da un’ape all’altra: insomma, come li si guardi, fanno impressione.
Ora i fetenti prediligono le larve, anche se naturalmente, come detto, non disdegnano gli adulti, e fra le larve, per motivi per me imperscrutabili, preferiscono le larve dei fuchi a quelle delle femmine, in ragione di cinque a uno: cioè a dire che, se in una cella di operaia c’è un acaro, in una di maschio ce ne solo cinque.
Si dà il caso che, se introduci in questa stagione un telaio vuoto nella casetta, le api costruiscono un favo predisposto con celle per fuchi: più grandi, meno regolari; la regina, incontrando celle da maschio, depone uova non fecondate, e così si crea un favo di celle da fuco, prelibato ristorante per la varroa. Se dividiamo il telaio in tre parti, le api costruiranno tre piccoli favi: quando il primo sarà opercolato, cioè chiuso, lo toglieremo, facendo ripartire le piccole alla costruzione del prossimo trappolone per varroe. E così via per un mese e mezzo.
Questo è uno dei metodi adottati per ridurre, non per eliminare, la bestia: io uso questo, assieme alla somministrazione degli oli essenziali, come già sapete, ma di questa magari vi parlerò un’altra volta.
Per quanto riguarda i sei alveari forti, tutto bene.
Ora vi saluto: è l’ora di andare ad accudire i cavalli.
Buona Pasqua.
Adriano.

martedì 19 aprile 2011

Adotta un alveare - Bollettino del 18 aprile

Buongiorno a tutti.
Eccomi, con un po’ di ritardo sui tempi promessi, è vero, ma in cambio ho da raccontare un sacco di cose.
Prima di tutto gli avvenimenti: alla visita di quattro giorni fa è risultato un alveare orfano: capita, anche le regine sono mortali. Che fare? Due le possibilità: la prima, la più prudente, sarebbe stata quella di suddividere fra le altre famiglie i telaini di covata per rinforzare le deboli e pareggiare l’apiario. La seconda, un poco più audace, quella di farsi spedire un’altra regina da Palermo e di reinserirla nella famiglia orfana, confidando nella capacità di ripresa delle api e nelle benevolenza di Giove Pluvio. Quale abbiamo scelto?
La seconda, naturalmente, anzi, già che c’ero, mi sono fatto spedire due regine: il giorno successivo alla richiesta, via posta, sono arrivate, e una l’ho inserita nell’orfano, mentre con l’altra, rubando un telaio di covata da due alveari che parevano i più forti, ho costituito un nucleo, piccolo, è vero, ma conto sul tifo che farete a casa perchè il nuovo arrivato cresca veloce.
In ogni caso: stamani ho rifatto la visita a tutto l’apiario.
Situazione: abbiamo sei casette belle forti, che producono e ingrandiscono a vista d’occhio; una con la regina appena messa, che aprirò non prima di una settimana, perché non bisogna disturbare l’accettazione dell’estranea: ha un altro odore, le operaie devono superare lo shock dell’essere state senza riferimento, dell’organizzarsi da sole (avrebbero creato un’altra regina, se ci fosse stata covata giovane, di non più di tre giorni, ma non sarebbe stata la stessa cosa, perché l’uovo era deposto in una cella esagonale e non tonda, come spetta alle sovrane, oppure, in mancanza di ciò, una delle operaie si sarebbe assunta l’onere, e non certo l’onore, di farsi ricrescere le ovaie, che per altro sarebbero rimaste un po’ atrofiche, ma, soprattutto, non sarebbe stata fecondata, e quindi le uova deposte sarebbero state sterili, generando solo maschi, e la poveretta sarebbe stata definita “fucaiola”, nell’ultimo disperato tentativo di tenere in piedi una famiglia comunque destinata alla scomparsa).
Riprendo: sei belle forti, una da vedere, le altre tre sono comunque cresciute, rispetto all’inizio, ma (ricordate?) essendo partite con poca covata – una addirittura era su un telaio o poco più- sono decisamente indietro.
Allora succederà probabilmente questo: nella prossima visita, se la situazione sarà confermata, indebolirò le forti per rafforzare le deboli, così da arrivare alla raccolta con famiglie mediamente forti, che sarebbe il massimo.



E qui arriviamo all’altro aspetto: il tempo.
Avete certamente notato che la scorsa settimana c’è stato un gran caldo, prima dell’abbassamento della temperatura: questo ha fatto sì che le fioriture presenti siano state imponenti ma brevi, nel tempo; così le api hanno viaggiato come treni avanti ed indietro, la regina ha avuto l’impulso di deporre a ritmi più alti, le ceraiole si sono messe in catena a costruire…e poi botta di freddo, con relativa scomparsa delle fonti di nettare.
Però: adesso stanno raccogliendo polline, dalle infiorescenze di carpini, querce, salici, anche dai noci; vanno, pur se poco decise, a bottinare sui frassini, sui rosmarini e sui pochi fiori di campo, e noi, trepidanti, somministriamo un po’ di nutrimento cercando di seguire l’andamento delle fioriture, sperando che la robinia ritardi ancora un po’ – ad Acqui si cominciano a vedere i fiori…-
e che ci dia il tempo di arrivare belli pronti all’appuntamento.
Tuttavia bisogna vedere cosa faranno i frassini: un anno c’è stata una contingenza molto particolare, perché le famiglie erano già, in questi giorni, forti abbastanza da pensare di fare già nuclei nuovi, quando vi fu una fioritura di frassini che personalmente non avevo mai visto.
La valle era bianca, e soprattutto nell’aria c’era un profumo che davvero stordiva, tanto era dolce; il tempo stranamente mite, non caldo da far esplodere i fiori tutti insieme e non troppo freddo, così da prolungare la fioritura; gli uccelli, soprattutto le ghiandaie, frullavano nella loro stagione degli amori e le api ci potevi camminare nei corridoi di volo perché tanto erano totalmente assorbite da seguire le scie che non ti badavano.
Così misi qualche melario, non sapendo bene cosa stessi facendo: fui premiato, perché in pochi giorni riempii un po’ di telaini di un miele che tende a cristallizzare con una velocità incredibile, ma che è stato il migliore che io abbia mai assaggiato.
Questa situazione non si è mai più ripresentata, dico cioè la concomitanza di una fioritura di frassino eccezionale con la contemporanea situazione ottimale delle famiglie: perché in fondo credo che l’abilità dell’apicoltore, o almeno quella che io devo, per me stesso, sviluppare, sia non tanto il costringere le api a fare, o il pompare le loro capacità, quanto il creare delle situazioni perché le cose possano accadere, annusare quel che può o quel che sta succedendo, proporre alle api una via possibile, sperando che la accettino, favorire il fatto che aspetti diversi –la crescita della famiglia, le fioriture, la temperatura, l’indole stessa della regina- possano confluire in un certo tempo e luogo. 
Altrimenti l’allevamento diventa sfruttamento.
Bene, vi ho annoiato a sufficienza, per oggi.
Ci diamo appuntamento verso Pasqua, giorno in cui avrò certamente ficcato il naso negli alveari per vedere se le nuove regine sono state accettate e per portare scompiglio, sperando di far crescere il benessere nelle famiglie, con il pareggiamento.
Ah, le sicule non mi hanno ancora adottato: sono sempre pugnaci…
Adriano.

lunedì 11 aprile 2011

L'adozione delle api de LA CASA HEYOKA... ecco le ultime notizie in diretta dall'alveare!

Innanzitutto ringraziamo Adriano de "La Casa Heyoka" che ci tiene informati sulla situazione delle api adottate dai membri del Gruppo d'Acquisto. Gli abbiamo chiesto se ci consentiva di pubblicare qui sul blog gli interessanti "bollettini" nei quali si descrive l'attività dell'apiario e le avventure delle nostre piccole amiche siciliane...
Ecco qui il contenuto delle prime due e-mail che abbiamo ricevuto! Buona lettura!


6 aprile 2011.
Buongiorno a tutti.
Le nostre apine sono arrivate l’altro ieri, lunedì: hanno fatto Palermo- Napoli in nave, Napoli- Bologna in camion frigorifero con la frutta, Bologna- Genova con il camion del corriere e Genova-Lodisio in camper… Non si possono definire api a km zero, certo, ma lo sapete: è un esperimento.
In ogni caso adesso sono qui: sono piccole, nere, cicciotte e determinate, a quanto pare.
Sono arrivate, naturalmente, stressate, ma non sembrano aver sofferto granchè il viaggio: del resto le loro sorelle, in numero di 900 (!) alveari, avrebbero poi proseguito per gli apiari di Carlo d’Inghilterra!
Ho subito, cioè dopo una notte di adattamento al posto, a cassette aperte, messo a dimora gli sciami, e devo dire, a onor del vero, che la situazione non è omogenea: ci sono famiglie, la più parte, per fortuna, belle forti e piene di covata e di api; altre meno; un paio in situazione apparentemente critica, ma con le api non si può mai dire.
Adesso sono nelle loro casette definitive, hanno passato la giornata di ieri a girellare attorno per orientarsi: avevamo api dappertutto, in casa, in legnaia, nei capelli…
Oggi sono già al lavoro sui ciliegi in valle, e non disturbano più umani e quadrupedi.
Fra un paio di giorni, perché ora le lascio tranquille, aprirò le casse per vedere se le regine stanno facendo il loro dovere e se stanno incrementando la covata; sono arrivate su tre telaini di covata, le più forti, su due le altre: devo portarle, se me lo permettono, almeno a sei-sette telaini di covata per la grande raccolta. Non sarà facile: speriamo che il tempo ci assista, che non faccia periodi freddi, che l’acacia ritardi il più possibile e che non ci piova sopra, così avremo una raccolta di acacia; in caso contrario si farà del millefiori, che a me, poi, piace di più.
Staremo a vedere.
Pensavo, se vi fa piacere, e magari fatemelo sapere, di ragguagliarvi di tanto in tanto sulla situazione, raccontandovi come stanno i dieci alveari sperimentali di api sicule. Miiii…zzeca!
Magari vi mando un altro resoconto dopo che ho fatto la visita, questo fine settimana.
Se desiderate scrivere o chiedere qualcosa, la mia mail è scritta qui sull’intestazione.
Grazie e a risentirci.
Adriano.


10 aprile 2011.
Buongiorno, come promesso, eccomi qui.
Stamani, giorno di fiori, secondo il calendario biodinamico, sono andato a ficcare il naso nelle casette delle api sicule.
La prima ispezione – da ora fino alla raccolta avremo una visita ogni quattro o cinque giorni – ha confermato l’impressione avuta lunedì: cinque famiglie sono belle forti, le altre sono un po’ indietro. Tre famiglie addirittura stavano costruendo fuori dai telaini, chè ancora le casette non sono piene: buon segno, significa che la regina sta deponendo “a nastro”.
C’è da dire che la fioritura dei ciliegi di questi giorni ha evidentemente stimolato le nostre, che trovavano abbondanza di fiori, anche se poco generosi di nettare come sono i fruttiferi; in ogni caso è stata una buona coincidenza, che ha permesso di ingranare subito.
Purtroppo per la prossima settimana sono previste piogge e un abbassamento notevole della temperatura, speriamo solo di notte: staremo a vedere.
Oggi ho somministrato la prima dose di oli essenziali, miscelati a miele nella pappa stimolante: lavanda, timo, arancio, rosmarino, santolina (e qualcos’altro) hanno profumato le casette delle piccoline nere, che sembrano aver gradito: nel pomeriggio avevano già scofanato tutto.
Devo dire, infine, che la diceria che le api scure sono particolarmente cattive è in parte vera: le nostre piccole sicule hanno decisamente un carattere diverso dalle ligustiche.
Dire che sono cattive però è esagerato: diciamo che, non essendo buddiste, hanno un attaccamento all’alveare particolarmente sviluppato; del resto è questo che stavamo cercando, un’ape, cioè, determinata, attiva e, perché no, un po’ fetente: forse sono davvero un po’ più protette nei confronti delle malattie. Speriamo.
C’è poi da dire che ci si mette un po’, per fare amicizia, no?
Per ora ho detto.
Ci risentiamo al prossimo, fra qualche giorno.
Adriano.