martedì 1 maggio 2012

Adotta un alverare - Bollettini Aprile 2012


17 aprile 2012.

     Eccoci qui, buongiorno.
     Freddo, acqua, neve, anche, vento, ma soprattutto niente calore e il tutto alternato a sprazzi di sereno, belli ma con temperature basse: ciò dura da troppo, ormai, ma pare non ci sia speranza di cambiamento ancora per una settimana o giù di lì.
     Noi s’accende il camino, e anche la stufa, a dirla tutta: le api si stringono, volano quel che possono, smettono di fare covata, perché poi toccherebbe scaldarla, e la famiglia si ferma.
     Stan tutte bene, certamente, se qualcuno trepidasse per la salute delle nostre amiche, ma son ferme.   Hanno avuto una botta di vita con il ciliegio, una quindicina di giorni fa, e questo ci ha aiutato molto: scorte, covata e pulizia erano le frenetiche occupazioni di quei giorni; ora s’aspetta che passi ‘a nuttata.
     Quelli che soffrono di più, ahiloro, sono i nuclei, in quanto piccoli, rispetto alle famiglie, e, si sa, le api più son forti più stanno bene, calde e nulla temono: li stiamo nutrendo con tisane e tenendo nel pulito con oli essenziali.    Se non fosse che lavorano un sacco, ogni tanto mi piacerebbe essere un’ape…   che poi questo luogo comune non è poi così vero: le api sembrano sempre affacendatissime perché sono molte, e hanno un modo di muoversi nel mondo così diverso dal nostro, tuttavia si riposano, eccome; specie la regina sembra che si prenda alcune ore di fannullaggine, di solito all’ora del the, e che se ne vada a giro per il suo dominio, così, a visitare, e certamente a riaffermare, con la presenza (ed il ferormone), la sua autorità.   Poi c’è il continuo sospendere l’attività dovuto alla trofallassi, parolone che sta a significare il modo in cui le api si passano il nutrimento l’un l’altra: passandosi il nettare di bocca in bocca lo arricchiscono, per il nostro bene, di enzimi preziosi, ma nel frattempo si prendono una pausa-caffè, per dirla in termini umani, e se la prendono parecchie volte al giorno.
     Per non parlare poi dei periodi in cui c’è fioritura di essenze inebrianti, o rilassanti, o anche allucinogene: le nostre si comportano come una compagnia di hippies in vacanza; il tiglio, per dirne una, le rende svagate, barcollanti, sognatrici e certamente fa fare loro bei sogni ad occhi aperti.
     In questi momenti sono sullo stile ‘carpe diem’, e le puoi vedere assolutamente disponibili ad incontri ravvicinati: si fan prendere in mano, volan pesante e camminano volentieri, aspettano di smaltire per ripartire verso casa a lasciare il bottino e tornare a farsi un’altra bevuta.
     Di solito pensiamo che solo l’uomo abbia comportamenti di questo tipo, ma anche gli animali non scherzano…

     Settimana prossima, a dio piacendo, sistemeremo le famiglie nei nuovi alveari, che infine sono stati pittati di un elegante color mogano, mordentato con legno a vista.   Le casette piccoline, invece, che sono una ventina, quelle usate cioè per il tempo intermedio dei trasferimenti e dell’allevamento, e che serviranno ad invernare i prossimi nuclei, sono state colorate, con gli acrilici regalatici da Laura, di bei disegni di fantasia, che avevo intenzione di fotografare e mettere nel bollettino, ma aspetto che siano illuminati dal sole per farlo.

     Oggi niente ricetta: solo un abbraccio e ci sentiamo appena svolta il tempo.   Adriano.






23 aprile 2012.

Buongiorno, pare che, se dio vuole, siamo fuori dal freddo, o, almeno, ci sono momenti di calore.
     Le nostre che fanno?   Si scatenano, appena occhieggia il sole, a girovagare, pulire, bottinare, e la regina giù a deporre, finalmente: stamani ho girato tutte le casette dei nuclei e, sorpresa!, tutte avevano uova e covata di un paio di giorni, al massimo.    Non potete immaginare il sospiro di sollievo che si tira, e il senso di pace con il mondo, e di gratitudine: qualcosa va come dovrebbe…

     Se non avete mai visto un uovo d’ape ve lo mostro:




nella fila alta, quelle barrettine che vedete sono uova, e hanno almeno tre giorni, altrimenti sarebbero in piedi; la seconda fila, sempre dall’alto, rivela larve, come piccole brioches, che nella terza e nella quarta fila si mostrano vieppiù grosse; si svilupperanno in pupe, e saranno opercolate, cioè con le cellette chiuse, a finire lo sviluppo.
     Finchè, 21 giorni dopo la deposizione, uscirà l’apina, rosicchiando l’opercolo e affacciandosi al mondo con le antennine, aiutata e sorretta, oltrechè subito nutrita, dalle zie.
     Uscita l’apina, le pulitrici netteranno la celletta dalle scorie –qualcosa resta sempre…-, pronta per ricevere un altro uovo dalla regina, e così via.

     Carino, no?   Peccato che, ai danni delle nostre immacolate ragazze, ancorché in fasce, vi sia presente la varroa destructor, e non pensiate che siano ragazzate, guardate qua:




     Quell’affare terribile che vedete sulla schiena della pupa è un acaro di varroa, che sta vampirizzando la nostra, le succhia, cioè, l’emolinfa, che sarebbe il corrispettivo apistico del nostro sangue.   Brutto, eh?
    Questa bestiaccia, e ce ne sono tante, purtroppo, nell’alveare, indebolisce le api, che saranno così più soggette a malattie, o nasceranno deformi, o in minor numero, e via dicendo.   Per questo si fanno tutte quelle operazioni che via via vi ho descritto, per ridurre, se non annullare il numero delle schifose.
     Che poi avranno anche loro uno scopo, nell’economia del creato, ma ancora non s’è scoperto quale.

     Però sembra che abbiamo lavorato bene, l’anno scorso, tant’è che non abbiamo avuto morie, e tocchiamo tutto quello che si deve: legno, ferro, eccetera, e speriamo che prosegua così, ma sui fondi se ne trovano, ogni giorno, ed è una cosa con la quale tocca convivere.   Pare che convivere con i parassiti sia la tendenza di questo secolo, e trovare i modi di sopravvivere…

     Ora un saluto, e facciamo la danza del sole, per favore, o almeno del calore.   Senza esagerare, ovvio.
     Adriano.