sabato 23 aprile 2011

Adotta un alveare - Bollettino del 23 aprile

Buongiorno a tutti.
Oggi, sabato, piove: era stato previsto, sicchè ho preferito dare un’occhiata alle nostre ieri, profittando di un primo pomeriggio senza vento.
Buone notizie: le nuove regine sono state adottate.
L’alveare orfano ha una nuova mamma, ed il nuovo nucleo ha imboccato felicemente la strada della crescita rapida…
Per chi non lo sapesse una regina, in stagione, cioè diciamo dalla prima settimana di maggio fino a tutto giugno, col beneficio della variabilità più estrema, dato che si parla di api, depone fino a duemila uova al giorno; tuttavia, una volta deposto l’uovo, non se ne cura più –e come potrebbe?
Saranno le operaie ad occuparsene, ma solo in una fase della loro vita: vita che, nella stagione produttiva, dura poco più di un mese, mentre per le api nate in autunno può prolungarsi fino a cinque mesi.
La piccola apina che nasce è pelosetta, biancastra, malferma come tutti i cuccioli, e per una ventina di giorni non uscirà dall’alveare, occupandosi delle pulizie per i primi tre giorni, coprendo il ruolo di nutrice dal quarto al decimo giorno, divenendo ceraiola (essendo in grado di produrre cera, costruisce celle e ripara quel che necessita di manutenzione) fino al sedicesimo giorno; infine si dedicherà al ricevimento di nettare e polline e si occuperà della difesa dell’alveare: sono dunque queste giovanotte che, nelle famiglie sicule, mi ricordano il loro attaccamento alla famiglia con energia a volte eccessiva...
Poi, finalmente, esce nel mondo, e si dedicherà per il resto della sua vita a raccogliere cibo per la famiglia. Naturalmente la realtà non è così schematica: in caso di necessità questi tempi vengono dilatati o accorciati, e api che stanno svolgendo uno specifico lavoro possono occuparsi di altro, alla bisogna.
Ma torniamo a noi: la famiglia numero cinque, dunque, è di nuovo integra, e vedremo la nuova regina cosa mostrerà di sé.
La regina del nucleo, invece, ha già dimostrato: in pochi giorni non solo si è fatta accettare, ma si è messa immediatamente all’opera e ha coperto un favo di covata; la piccola famiglia, impegnata com’è, è tranquilla e laboriosa (evidentemente vi sono ben poche guerriere…) e, nel momento dell’apertura dell’alveare, momento rivelatore di quel che sarà nei prossimi minuti e dello stato dell’alveare in generale, mormora neanche troppo infastidita e accetta di buon grado la visita.
Non la stessa cosa possiamo dire, tuttavia, degli alveari due, tre e quattro: sono i più deboli e perciò anche i più nervosi, e reattivi. Alla visita si evidenziano alcune cose, che ora, a distanza di giorni e di un paio di incontri ravvicinati, sono evidenti: innanzi tutto la deposizione non è omogenea, e questo denota che la regina o è in età, ma non credo, dovrebbe essere dell’anno scorso, o non è delle migliori: anche fra le regine, come fra tutti gli esseri viventi, vi sono elementi particolarmente dotati nelle loro competenze ed altri meno.
Inoltre il nervosismo: come dicevo prima, se in una famiglia c’è grande attività, la reattività è sempre relativa; infine la confusione nell’organizzazione interna, fra favi di covata, scorte di nettare e polline, copertura omogenea dei favi.
Addirittura in un paio di alveari pareva al primo momento che mancasse la regina: infatti la famiglia orfana si comporta in modo isterico; invece la graziosa c’è, si è fatta trovare, pur nella confusione rumorosa che le altre mettevano in scena, ed è pure bella grossa e panciuta.
Del resto, forse, ed è quello che mi concedo di sperare ancora per qualche giorno, semplicemente non hanno ancora trovato l’ispirazione o l’accordo con il gruppo: non dobbiamo dimenticare che queste regine non sono nate nella famiglia che le ospita, ma vi sono state trasferite al momento della formazione del nucleo.
Inoltre, dal punto di vista del tempo meteorologico, se da un lato è vero che in alcuni momenti della giornata fa caldo, è pur vero, dall’altro, che ancora non ci sono stati momenti di “calore”: infatti anche l’orto, nelle nostre vallate, non è ancora nel momento della crescita; le api non fanno eccezione, a questo comune sentire della natura.
Così aspetterò ancora qualche giorno, prima di decidere se rinforzare i deboli sottraendo telaini di covata ai più forti, o se, più drasticamente, riunire in una famiglia unica due deboli, nel momento in cui le regine abbiano dimostrato la loro scarsa propensione al ruolo. 
Avere alveari deboli è fondamentalmente sbagliato: un alveare debole è molto più soggetto a malattie ed alla diffusione dei molti virus che insidiano le nostre di quanto lo sia una famiglia forte, e, del resto, due alveari deboli producono meno di uno forte, ed anche questo non è un fattore da sottovalutare.
Se dovesse interessarvi, vi potrei raccontare come si riuniscono due famiglie, e dell’atto spietato che bisogna compiere. Magari fatemelo sapere.
Un’altra cosa, che riguarda la conduzione dei vostri-nostri alveari: ho introdotto nelle casette i cosiddetti telaini-trappola, altrimenti definiti telaini-Campero, dal nome di chi ha avuto l’idea e li ha sperimentati e condivisi.
Si tratta di uno dei numerosi modi per fronteggiare la varroa, acaro fetente e che fa benissimo il proprio mestiere, dall’aspetto davvero poco poetico, visto ingrandito, ma letale: la bestia si sistema sul corpo dell’ape e, da buon parassita, succhia; in alveari si possono vederne a occhio nudo anche quattro o cinque su di un’unica ape, ed è impressionante la velocità con cui balzano da un’ape all’altra: insomma, come li si guardi, fanno impressione.
Ora i fetenti prediligono le larve, anche se naturalmente, come detto, non disdegnano gli adulti, e fra le larve, per motivi per me imperscrutabili, preferiscono le larve dei fuchi a quelle delle femmine, in ragione di cinque a uno: cioè a dire che, se in una cella di operaia c’è un acaro, in una di maschio ce ne solo cinque.
Si dà il caso che, se introduci in questa stagione un telaio vuoto nella casetta, le api costruiscono un favo predisposto con celle per fuchi: più grandi, meno regolari; la regina, incontrando celle da maschio, depone uova non fecondate, e così si crea un favo di celle da fuco, prelibato ristorante per la varroa. Se dividiamo il telaio in tre parti, le api costruiranno tre piccoli favi: quando il primo sarà opercolato, cioè chiuso, lo toglieremo, facendo ripartire le piccole alla costruzione del prossimo trappolone per varroe. E così via per un mese e mezzo.
Questo è uno dei metodi adottati per ridurre, non per eliminare, la bestia: io uso questo, assieme alla somministrazione degli oli essenziali, come già sapete, ma di questa magari vi parlerò un’altra volta.
Per quanto riguarda i sei alveari forti, tutto bene.
Ora vi saluto: è l’ora di andare ad accudire i cavalli.
Buona Pasqua.
Adriano.

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