lunedì 2 maggio 2011

Adotta un alveare - Bollettino del 1 maggio 2011

Buongiorno, eccomi qui, inesorabile.

Oggi parleremo di riproduzione.
Il fatto che la regina deponga delle uova e che queste si schiudano non assicura la sopravvivenza delle api: l’alveare è un “superorganismo”, per dir così, e la nascita di un singolo individuo, o di migliaia di singoli individui non c’entra con la riproduzione.
La famiglia deve clonarsi, propagarsi, moltiplicarsi: deve produrre un’altra famiglia.
Ma andiamo per gradi: con le api, infatti, ogni cosa è intersecata con molte altre che accadono a volte in contemporanea, a volte distanti nel tempo; tuttavia penso sia giusto cercare di capire la fisiologia energetica, per dirla difficile, del meta-organismo che è la famiglia, altrimenti non si arriva a capire, o ad intuire, perché siamo al punto di vedere morire il 90% delle famiglie in America, o il 60% in Francia, o, da noi, a macchia di leopardo, punte del 100% in alcune regioni in alcuni anni passati. E non è solo colpa dei neonicotinoidi.
Per fortuna non è sempre e dappertutto così, e l’ape ce la mette tutta, da parte sua, ed anche noi dovremmo.
Cercherò di costruire un puzzle, spiegando parti che poi si incastreranno con altre parti…
Intanto dovete sapere che, in natura, le api costruiscono i propri alveari in luoghi riparati, tipo alberi cavi, piccole grotte, sottotetti, mai per terra, e orientano i favi in direzione sud-nord e li costruiscono a forma di cuore tridimensionale.
Nelle casette che l’uomo ha costruito per loro, quadrate come le nostre case, le povere piccole cercano di riprodurre, in qualche modo, le forme ancestrali: il glomere è a forma di cuore, ed anche la covata, vista in prospettiva, ha grandi depositi sui favi centrali che man mano, verso l’esterno, diminuiscono di dimensione.
La regina, lungi dal regnare, si dà da fare come una matta a deporre, nelle celle rimaste libere dalle nascite o costruite ex novo dalle ceraiole, uova fecondate o no, a seconda se, dall’intelligenza del superorganismo, le viene l’impulso di creare femmine, che poi diverranno operaie, o maschi, cioè fuchi.
Ma, per svariati motivi, ad esempio l’età avanzata, o particolari situazioni interne, ad esempio il poco spazio, o anche per una sorta di ereditarietà, la regina, e con essa tutta la famiglia, in un periodo dell’anno che può variare da aprile a settembre, ma soprattutto in maggio e giugno, comincia ad essere turbata: le ancelle cominciano a tenerla a dieta, le nutrici danno più pappa reale del solito alle larve, le ceraiole si mettono a costruire cupolini tondi, le bottinatrici non sono più assidue nell’importare nettare, e così via.
La famiglia, come si dice, è preda della “febbre da sciamatura”, che, come dicevamo, è cosa non solo assolutamente naturale e geneticamente ovvia, ma anche indispensabile alla propagazione della specie.
Così, nelle speciali ed estemporanee celle tonde, la regina depone uova fecondate che verranno nutrite sempre e solo con pappa reale, e l’uovo, che normalmente avrebbe fatto nascere una comune operaia, darà come  risultato una nuova regina.
Di solito, nella fase della sciamatura, in un alveare vi sono più celle reali, anche dieci o dodici: un giorno o due prima che la nuova regina esca (la prima delle…), la vecchia regina raccoglie con sé una buona metà dell’alveare e sciama.
Di solito dalle dieci del mattino a mezzogiorno, massimo l’una, di una bella giornata soleggiata, si vede fuori dalla casetta un’insolita attività, un brusìo diverso dal solito; poi comincia un volo stazionario di numerose api attorno alla porticina, poi il brusìo aumenta, si fa cupo e forte, e, improvvisamente, un’infinità di api sembrano sparate fuori dall’alveare: non si riesce a vederle, tanto sono veloci; escono e si posizionano al di fuori, in una colonna verticale che ruota e cresce finchè tutte quelle che devono uscire lo hanno fatto, a formare una sorta di cilindro ruotante alto diversi metri fatto di api che cantano, piene di miele e ubriache di frenesia.
Ad un certo punto, come ad un ordine, il cilindro si compatta, prende una direzione, deciso, e si va a posizionare pochi metri più in là, su di un ramo, di solito: lì si appende e le api, nel giro di pochi secondi, si compattano a formare un glomere pulsante e sommessamente rumoroso, sostanzialmente innocuo (ci puoi mettere dentro la mano, non pungono…), composto da circa 10-25.000 api, a seconda della forza della famiglia e della stagione.
A questo punto succedono un sacco di cose: partono le esploratrici, in diverse direzioni, a fare il loro lavoro, per cercare un luogo adatto a formare la nuova residenza; quelle che sono rimaste basite dalla furia della sciamatura pian piano si radunano calme e tranquille; le esploratrici che tornano riferiscono e si fa assemblea: vengono valutate le proposte, espresse attraverso danze e movimenti vari del corpo, e discussioni più o meno lunghe vengono fatte per tutto il pomeriggio.
Se un accordo viene raggiunto, di solito il mattino dopo la nuova famiglia si mette in movimento per raggiungere la nuova sede, con lo stile già espresso (la nuvola “brusante”), altrimenti la discussione può andare avanti anche un paio di giorni o tre, ma è raro. 
Arrivate nel nuovo posto cominciano subito ad usare le scorte che si sono portate da casa: in breve qualche favo viene costruito e riempito col miele, così che la vita ricominci.

Fin qui la natura, ma… E l’apicoltore?
Dipende, naturalmente, dall’apicoltore!
Ma questo lo vedremo una prossima volta.
Per l’intanto: le nostre sicule stanno bene; sono certamente più reattive in tutto, anche agli sbalzi di temperatura e di afflusso di nettare: si fermano e riprendono più velocemente delle altre, mi sembra.
Sto aspettando ancora qualche giorno, perché anche qui in valle un po’ di acacia è fiorita, ma poca cosa, e i grandi alberi sono ancora indietro.
Ma non si può mai dire, di questa stagione: a volte in due giorni cambia tutto.
In ogni caso, siamo pronti con i melari.

A risentirci fra qualche giorno.
Adriano.

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