venerdì 20 maggio 2011

Adotta un alveare - Bollettino del 19 maggio 2011

Buongiorno.
Siamo alla fine delle grande ubriacatura annuale dell’acacia.
Ancora non è del tutto terminata, perché più in quota ancora ci sono fiori ed anche sui versanti, qua e là, alcune piante biancheggiano.
Sono state bellissime giornate: il ronzìo delle api che andavano a bottinare era intensissimo.
La mia casa è orientata a sud-est, e guarda in valle, e lo sguardo si allunga fino al Begua.
Si vede, in valle, il biancheggiare dell’acacia.
L’apiario è a monte, subito dietro la casa, un paio di piane più in alto: quando le api sfrecciano all’acacia, passano sopra la casa, e ci sono momenti della giornata, i più caldi della mattina, ad esempio, in cui il rumore è talmente intenso che a volte ti chiedi se per caso non sia in corso una sciamatura.
Ormai questa cosa, il rumore delle api, intendo, fa parte della nostra vita, come le feste che ci fanno i cani quando si torna a casa, o l’odore dei cavalli o, in questi giorni, il profumo delle ginestre in fiore. La presenza delle api ha qualcosa di rassicurante: sembran dirti che la vita continua; a saperle guardare sono presenze attive: le vedi se sono indaffarate, o annoiate, se vanno a giro a curiosare o se hanno uno scopo; se sono nervose perché cambia il tempo o se, dopo la pioggia, il tempo si rimetterà subito: son le prime a uscire, con le ultime gocce, se verrà bello.
C’è stato un anno che mi erano morte tutte le famiglie, anche se in realtà ormai ne avevo ben poche, solo un paio: bene, nelle prime soleggiate di febbraio mi mancava il ronzìo, c’era qualcosa che non andava, in quel silenzio; era come un disagio in cui cercavi qualcosa.
Era impossibile non avere api: andai subito a cercare nuovi nuclei e ad aprile quattro nuove famiglie si aggiravano attorno a casa.
Ora, che fra bionde e brune dietro casa siamo a una ventina di casette, la presenza è forte, e va bene così.

Temo dunque che, anche con le sicule, siamo riusciti a fare un po’ d’acacia, per gli amanti del genere.
Ancora non riesco a stimare quanta ma, a occhio, direi che settanta-ottanta chili dovrebbero esserci; in famiglia dicono che sono sempre avaro, nelle previsioni e nelle stime, e secondo me sotto sotto pensano che lo faccio per scaramanzia: io mi guardo bene dal confermare.
Tuttavia la fioritura ancora non è terminata, e i nidi sono ancora in parte pieni di nettare, che dovrebbe essere portato nel melario.
Parlavo ieri con un amico a Finale, che per lavoro è a contatto con molti apicoltori liguri, e mi diceva che molti si stanno lamentando di questa stranezza di avere i nidi pieni di miele e i melari semi vuoti; se ricordate ve ne avevo parlato, quando dicevo che le sicule non stavano andando a melario.
Bene, parimenti è successo a molti altri: ognuno dà la sua spiegazione, naturalmente, ed è divertente, fra gli apicoltori, ascoltare le motivazioni che ognuno si dà di uno stesso fenomeno.
A volte la fantasia si scatena, altre volte è molto istruttivo, altre ancora è consolatorio.
Le api, però, si fan beffe degli sforzi dell’uomo di capire: fan quel che vien loro dettato da tutti i segnali e dall’atmosfera della natura attorno: temperatura, umidità, pressione, andamento delle fioriture, e un’infinità di variabili che noi non ci sognamo neppure di comprendere, non solo separatamente, nonostante barometri, termometri e meteo vari, reumatismi compresi, ma soprattutto nella loro complessità e interazione, intenti come siamo a capire con il cervello e disabituati come siamo a percepire con altri sensi; infine staccati dall’ambiente, e immersi in artifici quotidiani ed eternamente pensanti.
Stare in mezzo all’apiario, con il mantra delle api che incessantemente recita, fra alti e bassi e intensità e pressioni diverse, mi ha sempre dato, già lo dissi, l’immagine della meditazione: il dialogo interiore che, come per magia, si interrompe e lascia spazio ad altro.
Ma forse il ronzìo che avvolge è solo il veicolo esteriore di un contatto, un dialogo con una parte della natura, non diverso dalla sensazione di appartenenza che si abbia, ad esempio, in alcuni momenti di particolare intesa con il cavallo, a giro nei boschi, o magari in immersione a scambiare affettuosità e giocare con pinnuti  o polpi: ognuno avrà la sua.
Ma io divago, come al solito. Sarà l’età.
Vi aggiornerò sabato o domenica, dopo la mia solita assenza per lavoro, e avrò, penso, una immagine definitiva di questa storia dell’acacia, che ormai durerà ancora un paio di giorni o tre, e un quadro delle famiglie, che visiterò, tempo permettendo, sabato mattina, così vedremo se ci saranno altre casette da dividere, altre febbri da convogliare o da lasciar scorrere, e infine dovremmo avere un’idea precisa del miele a melario.
Grazie.
Adriano.

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