domenica 8 maggio 2011

Adotta un alveare - Bollettino del l'8 maggio 2011

Buongiorno.
Abbiamo posto i melari, anche se il momento non è ancora quello giusto: manca qualche giorno al calore.
Di solito si dice che il momento di porre i melari è quando le api “imbiancano”, e le nostre ancora non hanno “imbiancato”. Dunque?
Intanto spiego un po’ di termini, per chi non ne sapesse.
Bisogna sapere che l’alveare propriamente detto è una cassa che viene definita “nido”, per il fatto che la regina vi depone le uova; il nido accoglie da dieci a dodici telaini, di solito, secondo il tipo di arnia, e di questi telaini le api dispongono come credono: portano scorte di miele, polline, oppure mettono covata. Naturalmente, nel corso delle stagioni, la proporzione fra le scorte e la covata cambia: in inverno, se tutto è andato bene, le scorte saranno nei telaini esterni e sul bordo superiore di tutti i telaini, mentre la covata sarà al centro dei telaini interni. Durante la primavera la regina man mano deporrà sempre più uova, che occuperanno più spazio: i telaini di covata si allargheranno; verso maggio-giugno, cioè in questi giorni, la covata si espanderà al massimo, fino a raggiungere i sette, otto e anche nove telaini sui dieci soliti del nido; tuttavia in questa stagione c’è molta disponibilità di scorte: i fiori fioriscono, e le essenze mellifere producono parecchio.
Le api dunque, fra scorte e covata, hanno bisogno di spazio, ed ecco dunque che, al di sopra del nido, viene posto un melario, cioè una cassetta più piccola del nido, con dentro telaini più piccoli, la metà, destinati a raccogliere l’eccedenza di miele che le api producono; fra il nido e il melario viene posto l’escludiregina, che è in sostanza una griglia di metallo con le aperture di misura tale che le api possano passare ma la regina no: essa deve restare nel nido, altrimenti andrebbe a deporre in melario con conseguente confusione per l’apicoltore.

Un inciso: ho detto che di solito, nella arnie che sono, nel nostro paese, più diffuse, ci sono dieci telaini; le mie ne hanno nove: anni fa ho preso questa decisione ed ora vi spiego il perché.
Le api sono degli architetti, precisine e metodiche, tuttavia creative e capaci di adattarsi a moltissime situazioni, hanno la mania delle misure.
Ad esempio, mettono propoli, di cui parleremo un'altra volta -altrimenti dovrei fare un inciso in un inciso e così via- solo in spazi più piccoli di una certa misura e più grandi di altra (ad esempio, in previsione di inverni particolarmente freddi, restringono addirittura l’entrata del nido con colate di propoli e cera); le misure delle celle sono fisse, così pure la loro inclinazione verso l’alto, e così anche gli spazi fra i favi.  Bene, in natura gli spazi fra i favi sono leggermente più grandi di quelli che possono essere in un nido da dieci telaini; si avvicinano di molto alla misura che avrebbero se ne mettessi solo nove, cioè più distanziati: le api hanno più spazio, si muovono meglio. Perché, dunque, sono stati messi dieci telaini? Perché si vuole di più: più covata, più forza, più miele. 
Anni fa c’è stato, nel mondo apistico, un grande dibattito su questo aspetto, ed un apicoltore ha brevettato una speciale griglia sfasata, cioè con differenti distanze in cui posare i telaini; io non ho seguito questa strada, perché mi sembrava troppo “umana”, un po’ cervellotica, ma ho rilevato la ricerca che costui aveva fatto sugli spazi vitali, mi è piaciuta e l’ho adottata; ho sostituito tutti i porta telaini dei miei alveari con altri che davano più spazio, e son contento della scelta.
Aggiungo anche che in natura, eccezioni a parte, di solito le api non facevano grandi famiglie: non le nostre razze, almeno; quindi un telaino in meno porta un po’ meno di guadagno all’apicoltore e un po’ più di confort alle piccole: quale sarebbe stata la vostra scelta? Chiuso l’inciso.

Ora, al momento in cui la covata si sta espandendo e le disponibilità di nettare sono abbondanti, le nostre devono da qualche parte depositare il raccolto, quindi “allungano” le celle dei telaini del nido; tuttavia lo fanno con cera nuova, bianchissima, che contrasta con la cera già esistente, più scura, dando un effetto di “imbiancatura” della parte superiore del nido.
Così l’apicoltore sa che le api han bisogno di più spazio per il miele e pone il melario.
Le nostre api hanno imbiancato? No, accipicchia, perché, nonostante l’acacia in parte fiorita, non c’è ancora il calore di cui vi parlavo, e temo che quest’anno, almeno in valle qui da me, non si presenteranno configurazioni fiori-calore che possano dare una grande raccolta.
Tuttavia, agli alveari più forti ho posto ugualmente il melario, un po’ perché ormai non dovrebbe mancare molto, un po’ perché di acacie fiorite in giro ce n’è, un po’ perché se sono forti e non vuoi indebolire devi dare spazio, e mettere un melario, se non da spazio al nido, almeno crea uno sfogo per le operaie.
Avrò avuto ragione? Forse avrete ormai capito che l’apicoltura non è, per fortuna, una scienza esatta, e che l’uomo propone e le api dispongono…

Una cosa che mi ero dimenticato di dirvi, parlando della differenza fra le sicule e le altre razze, è il profumo, perché le api hanno un profumo, anzi, ne hanno diversi, in diversi momenti dell’anno; non mi riferisco al profumo del miele che c’è nella casetta, naturalmente, ma proprio al profumo della famiglia, che è un misto fra odore di covata, di propoli, di pappa reale, di veleno, di api in sé, e altri fattori svariati, che cambia, nella stessa famiglia, al variare delle condizioni della stessa: spesso si capisce se una famiglia non sta bene proprio dall’odore.
Ora le sicule hanno un odore diverso dalle ligustiche: al primo momento mi pareva strano, ma adesso vedo che è proprio così.
Ho ancora qualche alveare di ligustiche che mi era rimasto, e ho messo anche in apiario un paio di famiglie di un’altra razza, la Buckfast, perché ho voluto comparare diverse possibilità allo stesso tempo, per decidere poi, il prossimo anno, se davvero le nostre sicule, nonostante l’aggressività, siano una soluzione al problema che cercavamo di risolvere; naturalmente poi vi illustrerò i risultati delle mie sperimentazioni.
Bene, dicevo dell’odore: le sicule hanno un profumo diverso; ligustiche e Buckfast sono molto simili fra loro, ma decisamente le sicule differiscono: hanno un odore più forte, più acido e più sottile, allo stesso tempo.
Anni fa, un amico, dal quale comperavo regine per fare nuclei, mi disse, mettendomi in mano le gabbiette con le reali, di sentire il profumo di rosa che emanavano: sentivo il profumo, anche se non mi sembrava di rosa, ma ugualmente piacevole e arcano.
Ogni animale ha un odore suo: anche le api.
Su queste note olfattive vi saluto, ci sentiamo fra qualche giorno, quando, come dice il calendario biodinamico, Mercurio passa nella costellazione dell’Ariete, il suo elemento preferito, seguito da Venere e Marte ed infine da Giove, stabilendo finalmente la conformazione adatta per avere giorni caldi; speriamo che le fioriture restino fino ad allora.
Altrimenti faremo un buon millefiori…
Adriano.

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